Il teatro alla prova del territorio

Il teatro alla prova del territorio

Il teatro alla prova del territorio

Claudio Longhi

MAPPE PER INTRECCIARE RACCONTI

l’esplorazione e il racconto di un territorio attraverso il lavoro teatrale

Due giornate di lavoro a cura della Bottega dello Sguardo, 29-30 novembre 2020

intervento di CLAUDIO LONGHI*

«Aprire la strada alla goccia nel fiume che si apre / la strada in mezzo alla pietraia».

Il teatro alla prova del territorio: un viaggio sentimentale per brevi istantanee

È straniante discutere di racconto dei territori parlando davanti a uno schermo. Lo straniamento, d’altronde, fa parte delle nostre vite di appassionati di teatro. È anche toccante affrontare oggi questi temi, mentre si avvia a conclusione il mio percorso di direzione artistica in Emilia Romagna Teatro Fondazione, che tanto ne è stato segnato.

Mappe per intrecciare racconti mi rimanda a certe letture fondamentali nella mia vita. In primis, alle pagine di Calvino: da Il castello dei destini incrociati1, straordinario atlante di storie possibili a partire dalle combinazioni dei tarocchi gettati su un tavolo, a un saggio in Collezione di sabbia2, su una mostra di carte geografiche cinquecentesche vista dall’autore a Beaubourg, a Parigi. In quest’ultimo caso, Calvino mette in relazione le carte dei grandi esploratori con le pagine straordinarie del Gargantua et Pantagruel, azzardando dunque che le prime siano la più antica forma di romanzo consegnataci dall’evo moderno. Forse proprio le mappe e i tarocchi del mazzo visconteo sono alle origini del libro di Calvino che più mi ha segnato: Le città invisibili3, grandioso tentativo di rendere l’avventura dell’esplorazione un racconto. Come in ogni romanzo, sul fondo si muove il paradigma della fiaba di Pollicino, il tracciato di una mappa nel bosco come scaturigine di ogni narrazione.

Il romanzo, a sua volta, si può fare mappa, come nel caso de Il nome della rosa4, quando la storia prende la forma della mappa dell’abbazia e della sua biblioteca, che è al contempo la mappa del sapere. Un gioco di scatole cinesi che non può non farci pensare anche a Jorge Luis Borges e, in particolare, a uno dei suoi racconti – già ricordatoci da Renata Molinari nella sua ricca introduzione a questo incontro – ove il potere della mappa di rappresentare la realtà è restituito dal paradosso di una sterminata carta di un impero in scala 1:15.

La possibilità letteraria di vedere nella mappa un racconto, e segnatamente un racconto teatrale, mi riporta a un altro incontro fondamentale per me, quello con Luca Ronconi, nato attraverso quella strana macchina dell’Orlando Furioso(1969) che partiva proprio da un’interrogazione geografica: dove sta Orlando mentre Angelica viene rapita dai pirati di Ebuda? Quella struttura “mental-teatrale” era pienamente in linea con i problemi di ordine strutturalista che agitavano il dibattito culturale nella seconda metà degli anni Sessanta, incarnati, ad esempio, dal dispositivo narrativo del “giuoco dell’oca”, «superpositions d’images de catalogue»6, come lo definì Sanguineti in riferimento al suo omonimo romanzo: l’idea che uno spazio, la plancia del gioco, diventi luogo per raccontare la nevrosi del capitalismo avanzato.

Un’altra voce ho incontrato, decisamente più tardi, nel mio percorso: Gertrude Stein e la sua idea di dramma-paesaggio, ovvero del declinarsi dell’affabulazione in descrizione in seno al racconto teatrale, dello sciogliersi dell’intreccio in puro paesaggio7.

Finora però ho posto l’accento sul concetto di spazio anziché di territorio, per tornare al quale prendo adesso la definizione del vocabolario Treccani: «Regione o zona geografica, porzione di terra o di terreno d’una certa estensione: un grande t.; una striscia di t.; i t. montanicostieri. In partic., estensione di paese compresa entro i confini d’uno stato o che costituisce comunque un’unità giurisdizionale, amministrativa, ecc. […]»8. Mi colpisce l’idea che il territorio finisca per essere un tutt’uno con la comunità che lo abita, con la comunità che si sviluppa dentro quell’unità spaziale. Mi rendo conto che proprio l’essenza del territorio come matrice generativa e fatalmente trasformazionale di un racconto teatrale è stato il rovello principale del mio percorso e del mio sguardo sul teatro in questi anni, tanto come regista quanto come curatore di pratiche teatrali. Penso alle diramazioni di un mio strano progetto di teatro partecipato come Il ratto d’Europa, nato a Modena e arrivato a Roma fra il 2012 e il 2014, o al Corso di Alta Formazione per ERT Raccontare il territorio, culminato nel progetto partecipato Beni Comuni nei centri colpiti dal terremoto dell’Emilia; o ancora a Un bel dì saremo, che rende conto dell’evoluzione dell’immaginario urbano nei mesi del recupero dell’ex Centrale elettrica di Modena fra il 2017 e il 2019, o al progetto Vedevamo la strada maestra, del 2019, dedicato alla via Emilia, o infine a quello, in corso e costruito di concerto col Comune di Bologna, Così sarà! La città che vogliamo, pensato per le ragazze e i ragazzi fra gli 11 e i 25 anni, in collaborazione con una rete composta da altre 5 realtà culturali della città (Altre Velocità, Cassero LGBTI Center, Kepler-452, Teatro Testoni Ragazzi – La Baracca, Compagnia Teatro dell’Argine). Queste iniziative, che mi hanno visto coinvolto in prima persona come parte di un gruppo, si sono sdoppiate in percorsi di documentazione di esperienze teatrali che partissero dalla relazione col territorio: per esempio, coi Kepler-452 e le loro istantanee dalla via Emilia, ma anche coi Rimini Protokoll e il loro Granma. Metales de Cuba, con Constanza Macras grazie all’ospitalità di Hillbrowfication, con Lola Arias e quel racconto partecipativo su Berlino che è Atlas des Kommunismus.

Quali sono state le ragioni che mi hanno spinto verso questo genere di attività? La consapevolezza dei propri moventi spesso giunge a posteriori: ora so che potrei spiegarli parafrasando Massimo Castri quando, parlando della comunità teatrale emiliano-romagnola, sosteneva che un attore dovesse essere, in primis, un operatore culturale, ponendo così la questione del posizionamento e del ruolo dei teatranti nella comunità9. I processi di mappatura messi in atto lungo questi anni partono proprio dall’inevitabile riflessione su quale posizione occupino i teatri nel territorio e nelle città. Un nodo in merito al quale mi piace rimandare ai punti di vista di Ludovico Zorzi10 e di Fabrizio Cruciani11, diversi, ma complementari, rispetto a quelli di Ferdinando Taviani e di Claudio Meldolesi cui accennava Renata Molinari. Dentro le esperienze di questi anni si agitava anche, forse ancora confusamente, la questione del teatro come servizio pubblico, secondo quell’intuizione grassiana che però necessita, a mio avviso, di una revisione: si può ancora parlare del teatro come servizio per la società? Spesso si tenta di declinare il quesito servendosi della nozione di “audience development”, verso cui nutro una certa diffidenza perché vi intravedo il rischio di una deriva autopromozionale, a mio giudizio fuorviante rispetto al nodo emergenziale del teatro come comunità. Fondamentale è piuttosto sentire che lo spazio è spazio abitato, e capire come le geografie si facciano luogo.

Mi rendo conto che, in quelle pratiche che mi sono trovato ad avviare, raramente esisteva un metodo dato a priori: vi è stato piuttosto un sano pragmatismo, per dirla con Brecht. Ed eccone allora i versi, che ho preso, in parte, in prestito per il titolo di questo intervento:

Molti pensano che noi ci diamo da fare

nelle faccende più peregrine,

ci affatichiamo in strane imprese

per saggiare le nostre forze o per darne la prova.

Ma in realtà è più nel vero chi ci pensa

intenti semplicemente all’inevitabile:

scegliere la strada più diritta possibile, vincere

gli ostacoli del giorno, evitare i pensieri

che hanno avuto esiti cattivi, e scoprire

quelli propizi, in breve:

aprire la strada alla goccia nel fiume che si apre

la strada in mezzo alla pietraia12.

Credo che vi siano racchiusi la motivazione e il fine delle pratiche di questi anni: affrontare la pietraia del paesaggio intorno a noi. In questa straordinaria pietraia emiliano-romagnola sono ora tenacemente radicato, in questo territorio che però guarda con forza all’Europa, con uno sguardo che rimanda al nesso fra spazio e tempo che ogni mappa esplicita. Ciò che nella carta geografica indica un’estensione, nel concreto farsi dell’esplorazione è tempo. È proprio quanto mi affascina dell’essere europei, il tenere insieme tempo e spazio. Penso all’intuizione di George Steiner in Una certa idea di Europa13, in cui il nostro viene riconosciuto come il continente dove i nomi delle strade sono nomi di persone. Dentro la toponomastica c’è una storia: la geografia delle nostre città è fatta di storia. Un’immagine straordinaria che mi ha consegnato, con altre parole, Piergiorgio Giacché durante una lezione della rassegna Il giro d’Europa in 80 giorni, ciclo di incontri per raccontare le città europee attraverso lo sguardo di alcuni intellettuali. Piergiorgio Giacché ci portò al confine fra Europa e Asia che, a suo modo di vedere, attraversa precisamente la piazza di una cittadina polacca, Kazimierz Dolny: lì si fronteggiano l’essere tempo dell’Europa e il puro dispiegamento spaziale asiatico. Dalla stessa rassegna voglio ricordare l’intervento del già citato Taviani, in una semideserta Biblioteca “Renato Nicolini” a Corviale, luogo simbolo della periferia romana, dove ci venne regalata una sorta di guida turistica per le strade di Guittalemme, la città dei comici. Una città di cui tutti siamo abitanti.

*ascoltato e trascritto da Andrea Zangari e rivisto dall’autore

1 Cfr. I. Calvino, Il castello dei destini incrociati [1969], Torino, Einaudi, 1973.

2 Cfr. Id., Il viandante nella mappa, in Id., Collezione di sabbia, Milano, Garzanti, 1984.

3 Cfr. Id., Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1972.

4 Cfr. U. Eco, Il nome della rosa, Milano, Bompiani, 1980.

5 Cfr. J.L. Borges, Del rigore della scienza, in Id., Storia universale dell’infamia [1950], trad. it. di M. Pasi, Milano, Il Saggiatore, 1961 [titolo originale: Del rigor en la ciencia].

6 È parte della dedica alla moglie Luciana che E. Sanguineti appone, per l’appunto, al suo romanzo Il Giuoco dell’Oca (Milano, Feltrinelli, 1967).

7 Cfr., ad es., G. Stein, Geografia e Drammi [1922], intr. di N. Fusini, trad. it. di F. Iuliano, Macerata, Liberilibri, 2010 (titolo originale: Geography and Plays).

8 Cfr. voce “territòrio”, reperibile online all’indirizzo https://www.treccani.it/vocabolario/territorio/ (ultima consultazione online: 2 giugno 2021).

9 Cfr. M. Castri, Il lavoro dell’attore nella comunità (1968-’69), in «Teatro», a. III, n. 1, 1970, ora in F. Quadri, L’avanguardia teatrale in Italia (materiali 1960-1976), vol. I, Torino, Einaudi, 1977.

10 Cfr., ad es., L. Zorzi, Il teatro e la città. Saggi sulla scena italiana, Torino, Einaudi, 1977.

11 Cfr., ad es., F. Cruciani, Lo spazio del teatro, Bari-Roma, Laterza, 1992.

12 B. Brecht, [Molti pensano] [1941-1947], in Id., Poesie, a cura di G. Davico Bonino, trad. it. di E. Castellani, R. Fertonani, C. Cases, M. Carpitella, R. Leiser, F. Fortini, Torino, Einaudi, 1992, p. 235 (titolo originale: [Viele sehen es so]).

13 Cfr. G. Steiner, Una certa idea di Europa [2004], trad. it. di O. Ponte di Pino, Milano, Garzanti, 2006 (titolo originale: The Idea of Europe).